L’Inps, in collaborazione con Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes, ha condotto un’indagine sul lavoro domestico immigrato, indagine che ha evidenziato come un quarto degli ultrasessantacinquenni viva da solo e che tra di essi una quota consistente (43%) non dispone di alcuna rete di sostegno familiare a fronte della sua esigenza di assistenza, mentre il sistema sanitario pubblico riesce ad assicurare l’assistenza domiciliare soltanto ad una quota minimale di ultrasessantacinquenni.
L’invecchiamento della popolazione, da un lato, e l’accresciuta aspettativa di vita dall’altro, hanno reso l’Italia uno dei paesi con l’andamento demografico peggiore nel mondo. Per capire quanto ciò sia vero è sufficiente considerare che le famiglie con almeno un anziano ultrasessantacinquenne sono più di un terzo del totale. Inoltre, la popolazione ultrasettantenne costituisce poco meno di un quarto del totale, mentre gli ultraottantenni raggiungono un quarto della popolazione totale. In linea generale, il peso dell’assistenza ricade quasi integralmente sulla famiglia che trova, allo stato attuale, maggiori difficoltà rispetto al passato a farvi fronte, ricorrendo cosàì ad un aiuto esterno.
L’insieme di questi fattori ha reso sicuramente maggiore l’esigenza di un aiuto dall’esterno, ed ha favorito il ricorso a strutture del cosiddetto Terzo settore ovvero, molto più spesso all’apporto dei lavoratori immigrati. Si calcola che le famiglie italiane che necessitano di un supporto per la cura e l’assistenza di anziani e bambini sono oltre un milione.
Ora, malgrado le notevoli opportunità di inserimento nel settore, le prestazioni di collaborazione familiare sono considerate meno appetibili dal punto di vista contrattuale, economico e ancor di più per quanto riguarda la considerazione sociale. In sostanza, per tanti italiani, si tratterebbe di un lavoro di serie B.
A fronte della crescente carenza di manodopera italiana, tuttavia, si è registrata la crescente disponibilità di quella straniera, come del resto si può constatare analizzando i dati relativi alla regolarizzazione del 2002, quando quello della collaborazione familiare è diventato il primo motivo di regolarizzazione per numero di stranieri.
Per quanto riguarda le aree geografiche di provenienza, se nel 2002 la ripartizione degli addetti per provenienza continentale vedeva prevalere l’Asia con il 34,3%, mentre ad Europa, America e Africa spettava all’incirca il 20% (rispettivamente 24,2%, 15,9% e 11,4%), nel 2003 gli europei hanno superato la maggioranza assoluta (54,2%), Asia e America si sono attestati su valori tra loro simili (rispettivamente 16,4% e 14,9%) e l’Africa si è fermata al 9,9%.
Per incremento percentuale al primo posto viene l’Europa (755%, con l’Est europeo a 805%), America e Africa si collocano nella fascia intermedia (315% e 290%), mentre da ultimo viene l’Asia (161%).
Alla fine del 2003 il panorama delle provenienze si presenta radicalmente modificato, essendo stata la regolarizzazione del 2002 caratterizzata da un protagonismo maggioritario dei Paesi dell’Est Europa, con complessive 233.034 domande e un aumento di 8 volte: Ucraina 90.247, Romania 65.638, Polonia 26.256, Moldavia 23.020, Albania 11.609 e con un numero ridotto, comunque superiore alle 1.000 unità , nel caso di Russia, Bulgaria e Bielorussia (5.262, 4.324 e 1.013). Queste presenze, aggiungendosi alle 33.068 già registrate nel 2004, portano ad un numero complessivo di 266.127 presenze.
I paesi dell’Est sono quelli che hanno conosciuto il maggiore aumento per quanto riguarda gli addetti al settore della collaborazione familiare: aumento di 7,6 volte per Ucraina, di 6 volte per Bulgaria, di 5 volte per Romania, Moldavia, Russia, di 4 volte per Polonia, di 3 volte per Albania e Croazia, di 2 volte per Jugoslavia. Un riscontro di un aumento cosàì consistente, cosàì come è avvenuto per alcuni paesi dell’Est, si trova solo per un numero ristretto di nazionalità : Cina aumento di 7,6 volte, Bolivia aumento di 6 volte ed Ecuador aumento di 5 volte.
Fonte: Miaeconomia