Saturday, November 23, 2024

L’assistenza domiciliare per i malati oncologici è in crescita, ma il Servizio Sanitario Nazionale non è in grado, al momento, di garantire ai cittadini un accesso uniforme ed omogeneo su tutto il territorio”. La denuncia arriva da Stefano Inglese, responsabile nazionale del Tribunale per i diritti del malato-Cittadinanzattiva, che ha svolto nei mesi scorsi un’indagine su questo settore cosàì delicato e pochi giorni fa ne ha presentato i risultati. “Il problema più rilevante – aggiunge Inglese – non è rappresentato dalla qualità  inadeguata del servizio, quanto piuttosto dal rischio di restarne fuori.”

Cittadinanzattiva ha monitorato 59 distretti italiani, attraverso una serie di questionari rivolti alle strutture sanitarie, ma effettuando anche interviste dirette a pazienti e familiari. Il risultato (per certi aspetto paradossale e amaro) è questo: l’assistenza a domicilio funziona bene là  dove esiste (l’85 per cento delle Asl tenute sotto osservazione, ad esempio, è in grado di fornirla in modo adeguato). Ma in ampie zone del nostro Paese è del tutto assente. “I problemi più gravi sono al Sud – dice Stefano Inglese – ed è davvero urgentissima la necessità  che questo ritardo strutturale venga riequilibrato. Le regioni meridionali, in questo settore, presentano uno dei punti di maggiore debolezza e minore tollerabilità  per ragioni di equità ”.

Tornando alle Asl monitorate da Cittadinanzattiva, la maggior parte dei pazienti seguiti a domicilio (l’82 per cento) ha un’età  superiore ai 65 anni. Spesso i malati si lamentano per l’insufficienza delle informazioni ricevute al primo impatto con le strutture, e per lo scarso coinvolgimento nelle scelte e nelle decisioni che vengono prese in seguito. Comunque il servizio, quando c’è, funziona mediamente bene – come dicevamo – e, fra le Asl considerate dal sondaggio, coinvolge un alto numero di centri oncologici: 9 su 10 al Nord, 8 su 10 al Centro, 7 su 10 al Sud. Ma entriamo nei dettagli.

Le badanti – La quasi totalità  degli intervistati (90%) dichiara di preferire l’assistenza a domicilio rispetto a quella ospedaliera, anche se una piccola parte ha avuto necessità  di integrare le prestazioni fornite con ulteriori servizi a pagamento (il 17%). Badanti, infermieri professionali e fisioterapisti hanno però un costo elevato se bisogna provvedere di tasca propria (da 250 a 750 euro al mese circa), circostanza che impedisce alle famiglie che non hanno una tale disponibilità  economica di garantirsi una copertura domiciliare adeguata.

I malati terminali – Vero punto debole su tutto il territorio nazionale sono le strutture di ricovero dedicate ai pazienti in fase terminale (i cosiddetti hospice): solo il 7,6 per cento degli intervistati ha infatti potuto usufruire, in alternativa all’assistenza a casa, di un letto in uno di questi centri.

Il telefono – Per quanto concerne l’informazione ai cittadini, più di tre Asl su quattro (fra quelle “esaminate”) garantiscono un servizio telefonico efficiente, per orientare i pazienti e le loro famiglie nella soluzione dei problemi che incontrano.

Il personale – Buona è la valutazione che i pazienti e i familiari danno sul personale che si occupa dell’assistenza a domicilio. Quasi sempre il medico di famiglia e gli infermieri professionisti giocano un ruolo centrale di coordinamento dell’èquipe, anche se emerge una presenza disomogenea di psicologi, fisioterapisti e nutrizionisti, molto più frequenti nelle regioni del nord rispetto a quelle del centro-sud.

La disponibilità  – Soddisfacenti i giudizi anche sulla disponibilità  dell’èquipe (24 ore su 24 nel 67% delle Asl monitorate), a cui i pazienti riconoscono un’ottima capacità  di far fronte, rapidamente, ai problemi, anche se in alcuni casi vengono segnalati ritardi eccessivi.

Lenta la “partenza” – E’ invece piuttosto lento l’avvio del servizio, quando il malato, o i familiari, si rivolgono per la prima volta all’Asl, chiedendo l’assistenza domiciliare. Quasi sempre la visita di uno specialista arriva nel giro di poche ore, ma circa l’89 per cento delle strutture è poi in grado di attivare davvero il servizio solo a distanza di sette giorni, mentre quasi tutte le richieste (97%) vengono soddisfatte entro un mese. Una tempistica decisamente troppo lunga, specie nel caso di malati in fase terminale. Anche per quanto riguarda la fornitura di attrezzature, i tempi di attesa non sono ottimali: si garantisce una carrozzina entro sette giorni solo nella metà  delle Asl considerate; materassi e cuscini antidecubito arrivano entro quindici giorni in quasi tutte le strutture, ma possono servirne trenta per un letto articolato e persino per i pannoloni.
In ogni caso, la gran parte delle strutture (93,2%) dichiara di predisporre e attivare piani assistenziali personalizzati e di assicurare misure di terapia del dolore nel 78 per cento dei casi, con la presenza di un medico esperto all’interno dell’èquipe.

Fonte: Corriere della Sera – Sportello Cancro