21 settembre 2004 XIa GIORNATA MONDIALE ALZHEIMER
L’AIMA, per celebrare la Giornata Mondiale, propone alcuni spunti di riflessione.
Quando negli anni ’80 la comunità scientifica ha preso coscienza dell’emergenza Alzheimer, il fervore onnipotente della medicina, l’entusiasmo salvifico della geriatria e la retorica assistenzialista dello Stato, hanno indotto a pensare che la cura del demente fosse cosa fatta. Pur con la consapevolezza del ritardo con cui ci si muoveva, in quegli anni sono state formulate ipotesi di percorsi di cura e di luoghi di cura, tradotti in progetti e piani, assolutamente impermeabili ad interventi esterni e decisamente autoreferenziali, dove il malato era a tu per tu con gli esperti, separato, allontanato dalla famiglia, considerata un intoppo alla scienza che aveva il compito esclusivo della cura al demente.
Nel decennio successivo sono avvenute due cose: si è raggiunta la certezza che la ricerca non avrebbe in tempi brevi portato a risultati clamorosi e risolutori, inducendo perciò la medicina ad attestarsi sul fronte della guerra di posizione. Contemporaneamente i sistemi di welfare hanno preso coscienza della propria incapacità organizzativa e soprattutto dei propri limiti economici.
Da allora, sempre più imperiosamente, la famiglia è tornata alla ribalta, e l’importanza del legame affettivo, protesico per il malato di Alzheimer, è diventata oggetto di studi, ricerche e misurazioni. Quando poi è risultato evidente che i costi altissimi (non solo economici) sopportati dalla famiglia, sarebbero stati incolmabili da parte di un servizio pubblico ormai orientato solo al risparmio e alla contrazione delle risorse, sono state disegnate linee e reti di cura, e progetti, e protocolli, dove la famiglia è decisamente protagonista delle cure, ma non solo: è la responsabile della sopravvivenza e del benessere del paziente, è la custode della sua sicurezza, garante delle scelte e delle decisioni anche sanitarie.
Oggi, da più parti si sostiene che, per la cura al malato di Alzheimer, la famiglia è il luogo proprio, al di là delle condizioni economiche, psicologiche, geografiche, sociali o ambientali della stessa. Per il malato il bene assoluto è la permanenza in famiglia e i caregivers, per svolgere al meglio il proprio ruolo, diventano a loro volta oggetto di studi, di cure, di trattamenti e terapie. Imperativi morali, umani e religiosi e presunte evidenze scientifiche vengono messe in campo a supporto di logiche politiche ed economiche che riversano sulla famiglia obblighi e responsabilità che non le sono proprie e che aggravano una situazione evidentemente già di crisi.
Non è difficile prevedere il futuro della risorsa famiglia quando fra 10 anni il numero dei malati di Alzheimer supererà il milione, se, fin da subito, non verrà messa in atto una politica lungimirante di programmazione strategica di investimenti per reti e servizi territoriali in grado di supportare, sostenere la famiglia nei lunghi anni di care.
Non è più tempo di ricerche sui bisogni. Cosa una malattia devastante come l’Alzheimer produce nella persona e nella sua famiglia è ormai ben noto. Cosàì come è evidente che l’organizzazione dei servizi territoriali nelle nostre regioni non è in grado di offrire risposte adeguate ai bisogni di una malattia che si presenta con le caratteristiche di progressione, cronicità e impatto sociale proprie dell’Alzheimer. La varietà di condizioni della persona malata e la varietà di condizioni del contesto familiare richiedono la predisposizione di una ampia articolazione di servizi, tra i quali non è possibile definire una priorità : servono i riferimenti specialistici e la medicina generale, i farmaci e l’assistenza domiciliare, le forme di sostegno economico, i centri diurni, i nuclei residenziali. Cogliere questa occasione significa non nascondersi dietro logiche di mercato, con l’alibi della mancanza di risorse, ma definire un programma di innovazione dei modelli organizzativi partendo dalla lettura dei bisogni.
Riguardo ai problemi etici, AIMA non da oggi si è posta interrogativi e questioni concernenti la problematica della malattia in generale e delle cure di fine vita in particolare, interrogativi tanto più delicati in quanto riguardano pazienti che perdono la capacità di esprimere la loro volontà e familiari che vengono chiamati a scelte di cui spesso non misurano consapevolmente la portata. Ma se era auspicabile che il dibattito su questi temi si allargasse alla società civile tutta, essendo gli argomenti in questione fondanti per l’avanzamento e lo sviluppo della sensibilità morale generale, in realtà il livello del dibattito cui siamo giunti negli ultimi mesi non fa sperare niente di buono.
Ci sembra che i temi protagonisti della discussione non vengano proposti partendo dalle necessità individuali o sociali; ma vengano individuati e modulati da esigenze pratiche, spesso determinate dalle leggi di mercato. Eccoci dunque a dibattere su nutrizione artificiale, terapia del dolore e accanimento terapeutico, più in termini di costi/benefici che di diritti, a discutere di ricoveri definitivi e living will secondo leggi economiche e giuridiche piuttosto che secondo le leggi morali o deontologiche.
Il demente grave, espropriato di ogni capacità decisionale dalla malattia, può diventare (e lo è stato per molto tempo) oggetto di qualsiasi negligenza, abuso, indifferenza o cattiva pratica medica. Incapace di esprimersi, di ribellarsi, semplicemente di chiedere, può trasformarsi in un oggetto che non si difende e che nessuno difende. Ecco allora che farsi carico della sua vita, cercare di interpretare nel modo più umano e professionale la sua volontà , garantire sino all’ultimo dignità , diventa una scelta di civiltà , prima che un impegno morale, medico e giuridico.
La terza ed ultima riflessione prende spunto dalla notizia del varo in Francia del Piano Alzheimer 2004-2007, per il quale il Ministro della Protezione Sociale Philippe Douste-Blazy ha garantito investimenti pari a circa 120 milioni di euro: dichiarando l’Alzheimer malattia cronica, verrà permessa la presa in carico del paziente al 100%.
Gli investimenti saranno divisi tra il quadruplicare i posti nei centri diurni, l’aumentare i centri per la memoria ad alta specializzazione, elevare la competenza medica nei luoghi di ricovero, diffondere le terapie riabilitative, aumentare la capacità di screening e di diagnostica tempestiva per poter curare prima e meglio il paziente, rallentando il decorso della malattia e permettendo l’efficacia dei trattamenti.
Il ministro ha preso atto degli 800.000 casi (in Italia 600.000) presenti in Francia, dei 165.000 nuovi casi l’anno (in Italia 80.000) e della previsione di raddoppio dei numeri entro il 2024. Ha poi sottolineato che il 60% dei pazienti vive in famiglia (in Italia più dell’80%), e che la famiglia, provata dal dramma, necessita di aiuto e sollievo.
Siamo certi che si poteva fare di più, non essendo i finanziamenti particolarmente generosi, ma è significativo che nonostante le difficoltà economiche e produttive del Paese, simili a quelle degli altri paesi europei, il governo francese abbia scelto di affrontare il problema in un’ottica di servizio e di consapevolezza dei bisogni. E che la sanità pubblica o il welfare basino la loro programmazione e i loro investimenti sui bisogni dei cittadini, ci sembra un’ idea realmente condivisibile.
In Italia il percorso ci pare francamente opposto: evitando di ripercorrere la storia delle scelte di politica sanitaria degli ultimi dieci anni, analisi più volte da noi ripetuta negli ultimi anni, basti ricordare le difficoltà incontrate con il protocollo Cronos per la distribuzione dei farmaci, l’esiguità delle risorse messe a disposizione del problema Alzheimer, la cattiva distribuzione della competenza medico-scientifica sul territorio e di conseguenza le difficoltà ad accedere alla diagnosi e ai trattamenti tempestivi.
Ci pare poco lungimirante che si neghino le difficoltà incontrate dai pazienti, si smentiscano quelle delle famiglie, o si nascondano i numeri delle indagini epidemiologiche, per giustificare l’incapacità ad affrontare il problema Alzheimer nella sua emergenza.
Non è più tempo di aspettare: lo vogliono migliaia di pazienti e familiari, lo vuole la società civile che considera la sfida dell’Alzheimer una battaglia di civiltà .
Patrizia Spadin Manlio Matera Stefano Inglese
Presidente AIMA Vice Presidente AIMA Segretario naz. Tribunale Diritti Malato