Sono davvero pochi i lavoratori italiani con più di 60 anni che scelgono di continuare a produrre reddito, di rimandare insomma l’età della pensione. Appena uno su 5, una tendenza che – secondo le previsioni dell’Ocse, l’organismo internazionale per la cooperazione e lo sviluppo – appesantirà in modo allarmante il nostro sistema pensionistico.
Il quadro delineato dagli studiosi basati a Parigi non tiene però conto della recente riforma previdenziale che entrerà in vigore a ottobre con l’introduzione del sistema degli incentivi per chi resterà al lavoro pur avendo diritto alla pensione. Il rapporto evidenzia un divario enorme tra l’Italia e gli altri paesi dell’organizzazione, che comprende le 30 maggiori economie del mondo.
Stando alle cifre, tra i 60 e i 64 anni i lavoratori attivi in Italia sono appena il 19,2% contro oltre il 35% della media Ocse. Una rarità le donne: soltanto l’8%, mentre tra gli uomini a restare nel lavoro attivo sono il 30,2%.
La prospettiva dell’assegno pensionistico resta la causa primaria dell’interruzione dell’attività lavorativa, seguita da scelte di ordine familiare. Andando a scorrere le varie fasce d’età risulta che la media dei lavoratori attivi in Italia è sempre, costantemente, inferiore alla media Ocse.
Spicca il dato della forza lavorativa tra i 55 e i 59 anni, quindi ben al di sotto del tetto per la pensione: soltanto il 38,4% è ancora attivo contro il 60,4% della media Ocse. Eppure, secondo l’esperienza di paesi simili all’Italia chi va in pensione a 60 anni è in realtà ancora perfettamente in grado di lavorare. E se solo si mobilitasse questa fetta di lavoratori potenziali l’Italia potrebbe aumentare la partecipazione attiva al lavoro (con beneficio per l’intera economia) di un quinto rispetto a oggi. Tra i rimedi suggeriti dall’Ocse per convincere i più anziani a restare al lavoro, una maggiore diffusione del part- time, la dispensa dai turni disagiati e corsi di aggiornamento professionale.
Fonte: TG5.it