Per favore, non chiamateli anziani. Perché il 70% degli italiani over 65 non si sente affatto tale e, anzi, nel 40% dei casi è convinto che la vecchiaia inizi ben dopo la pensione, intorno agli 80 anni, mentre nel 72% si sente in ottima salute. E’ quanto afferma il Bupa Health Pulse 2010, il rapporto della London School of Economics sponsorizzato dal gruppo Bupa International (assicurazioni sanitarie), risultato di un sondaggio condotto in vari paesi del mondo e che in Italia ha interessato un campione di mille persone. Il rapporto segnala, nel nostro Paese, la crescita di una “nuova generazione” di uomini e donne che, pur avendo abbondantemente superato la sessantina, si sentono ancora giovani.
La longevità anagrafica va dunque sempre più di pari passo con una nuova “gioventù dello spirito”. Il fenomeno è confermato dal fatto che solo il 18% degli ultra65enni, secondo l’indagine, soffre di depressione da invecchiamento. I timori ci sono e riguardano la perdita di memoria e indipendenza (il 70%) e la possibilità di ammalarsi di cancro (33%) o di Alzheimer (25%).
La vivacità delle persone di terza età nel nostro Paese è confermata dagli ultimi dati Auser, la principale realtà italiana impegnata per l’invecchiamento attivo degli anziani. In vent’anni oltre 300mila iscritti over 65, e ogni anno sono circa 100mila (il 65% dei quali donne) quelli che partecipano alle attività culturali dell’associazione. L’organizzazione delle attività impegna ormai 518 associazioni centri, dove lavorano circa 7.738 volontari, di cui il 64% donne. Il Veneto, la Lombardia e la Toscana sono le regioni dove le Università della terza età contano più volontari, per un totale di 5.851 persone (circa il 76% del totale), mentre nel Mezzogiorno i volontari sono meno ma lavorano di più ed è infatti qui che si registra il più alto numero di ore di lavoro, tra Campania (28.558), Puglia (11.105) e Sicilia (10.237).
Proprio come gli adolescenti prima delle vacanze, questi “anziani giovanili” si affacciano alla terza età senza fare troppi progetti. Secondo quanto afferma il rapporto della London school of economics, solo il 23% arriva ai 65 anni con dei soldi da parte e tre su quattro preferiscono affidarsi ai parenti, dando per scontato che tocchi alla famiglia farsi carico della loro assistenza. Il rapporto sostiene poi che la “rete di assistenza informale”, ovvero il modello tradizionale delle famiglie che badano ai propri anziani, si sta disintegrando. E questo per tre ragioni: la prima è che il numero di persone che hanno bisogno di assistenza è cresciuto più velocemente rispetto a quello dei potenziali assistenti delle generazioni più giovani; poi perché le donne, che prima si occupavano di loro, ora lavorano; infine perché ormai le case sono sempre più piccole e non più pensate per famiglie allargate ai nonni.
Fonte: Repubblica.it