La campana della pensione pubblica suona, soprattutto, per artigiani e commercianti: avranno una rendita davvero minima, pari a non più del 35% dell’ultimo reddito. Ma la campana suona anche per i dipendenti che, all’apparenza, potrebbero dormire sonni tranquilli. Un cinquantenne, con già 20 anni di contributi alle spalle, quindi, in mezzo al guado, avrà una pensione pari al 63,4% dell’ultimo stipendio se guadagna 30.000 euro l’anno. Ma il tasso di copertura scende al 61% con un reddito attuale di 50.000 euro e al 56,4% se il guadagno è di 80.000 euro l’anno. Siamo ben lontani da quel 70-80% garantito ai colleghi solo di qualche anno più anziani. Andrà ancora peggio alla collega donna, che il traguardo del 60% non lo vedrà proprio. Per non parlare, poi, dell’indigenza che aspetta i quarantenni e i trentenni di oggi che vivranno a mezza pensione. Vale a dire avranno una rendita pubblica che in rari casi supererà il 50% dell’ultimo stipendio. Anche su questo versante il taglio più grosso riguarda le donne. Una quarantenne, con un reddito di 30.000 euro, avrà una rendita pari al 49,5% dell’ultimo reddito. Se, invece, ha già un ottimo stipendio (80.000 euro l’anno) l’aliquota scenderà al 45%. Più o meno il livello cui si fermerà una ragazza di venticinque anni. Le elaborazioni pubblicate in questa pagina, e realizzate per CorrierEconomia dalla società indipendente di consulenza Progetica mostrano in tutta la loro evidenza i pesanti effetti del sistema contributivo, il criterio di calcolo delle pensioni introdotto dalla riforma Dini del 1995. Un indispensabile punto di partenza per capire quanto sia importante pensare fin da subito alla previdenza complementare. Ognuno, guardando le tabelle, può facilmente individuare quale futuro l’attende. E, si spera, prendere le decisioni del caso.
Chi infine ha cominciato dopo il 31 dicembre 1995 avrà una pensione interamente contributiva, ed allora sarà davvero pesante la penalizzazione rispetto ai generosi criteri di calcolo del passato. Nelle simulazioni sono già stati adottati i nuovi coefficienti di trasformazione suggeriti dal Nucleo di valutazione della spesa previdenziale in relazione al progressivo allungamento della vita media. La loro revisione, che la legge Dini prevede con cadenza decennale, ma senza un meccanismo automatico, costituisce invece uno dei problemi più spinosi del tavolo di confronto sul sistema pensionistico, che si apre proprio in questi giorni fra governo e parti sociali. «Il mancato adeguamento ” spiega Sorgi ” porterebbe a una percentuale più elevata di copertura della pensione rispetto all’ultima retribuzione nei profili che ricadono nel sistema misto e in quello contributivo ». In base al nuovo meccanismo di calcolo delle pensioni, altre variabili che entrano in gioco sono la crescita del paese e la dinamica di carriera. Nelle simulazioni sono stati ipotizzati un incremento annuo del Pil dello 0,8% in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, ed una retribuzione che, sempre in termini reali, cresce ogni anno dell’1,5%. A causa del meccanismo contributivo, una carriera più modesta porterebbe ad una copertura maggiore della pensione rispetto allo stipendio finale mentre, all’opposto, una dinamica più brillante determinerebbe una maggiore penalizzazione.
Articolo tratto da Corriere.it