Saturday, November 23, 2024

E’ la “sindrome di Vico”. Qualcuno la chiama anche la “sindrome da ping pong” o da flipper. E’ nuova, colpisce pesantemente in corsia: il 26,6 per cento dei ricoveri nelle medicine interne è un ricovero ripetuto entro 30 giorni dalla dimissione. Si va da una sola riospedalizzazione a due-tre in un mese.
E’ il più sorprendente risultato che emerge dal Rapporto 2006 “L’Italia dice 33″, presentato a Roma alla vigilia del Congresso della FADOI. La “sindrome di Vico” colpisce soprattutto anziani con scompenso cardiaco, cirrosi epatica, insufficienza respiratoria: finiscono in ospedale, vengono curati, sono dimessi, tornano a casa ma spesso trovano scarsa assistenza e solitudine. E cosàì le condizioni si aggravano e tornano in ospedale. Un ricovero dietro l’altro. Ma il Rapporto conferma anche un’Italia sempre più affollata di pazienti anziani con più patologie, per di più critici, e colpita dalle malattie del benessere.
“Sono tanti i malati – dice Giovanni Mathieu, Presidente della Federazione Associazioni Dirigenti Ospedalieri Internisti, commentando i dati del Rapporto – che, una volta dimessi dall’ospedale, sono costretti, a breve termine, ad un nuovo ricovero per un aggravamento delle condizioni generali.
La complessità  di questi pazienti, che possiamo definire “ping pong”, richiede un’assistenza continua anche dopo la dimissione, al domicilio o in case di riposo. Inoltre il fattore età , lo scarso coordinamento nell’assistenza fra ospedale e territorio, la carenza di servizi territoriali, finiscono per creare le condizioni di un rapido deterioramento delle condizioni cliniche che esitano spesso in una riospedalizzazione. Questo fenomeno è aggravato dalla necessità  di una dimissione dall’ospedale sempre più precoce, prima di una adeguata stabilizzazione clinica: ciò è determinato a sua volta dalla necessità  di avere posti letto liberi per altri ricoveri. Tutti questi fattori contribuiscono ad alimentare un vai e vieni tra ospedale e territorio e territorio e ospedale, fonte di diseconomie e scarsa qualità  dell’assistenza. E’ auspicabile quindi uno stretto dialogo fra ospedale e territorio, ma anche un dialogo fra le varie professionalità  e discipline all’interno dell’ospedale, con l’Internista, ove possibile, con funzioni di coordinamento della salute del paziente”.

Fonte: Asca