Saturday, November 23, 2024

Presentato nei giorni scorsi a Venezia, nell’ultimo giorno del VI congresso nazionale della Società  Italiana di Riabilitazione Neurologica un importante studio multicentrico sulla Constraint Induced Movement Therapy, partito nel 2004,. Un approccio al trattamento delle disfunzioni motorie degli arti nei pazienti colpiti da ictus basato sull’immobilizzazione dell’arto sano, costringendo di fatto il paziente ad usare quello malato forzandolo fino al recupero funzionale completo o parziale. Secondo i dati forniti dagli esperti, l’ictus è la prima causa di disabilità  neurologica in Italia e nei paesi occidentali. L’emiparesi è il deficit che si presenta più frequentemente: circa l’80% dei pazienti sopravvive alla fase acuta, e sebbene molti tornino a deambulare, dal 30% al 66% non riacquista l’uso dell’arto superiore. Lo studio ha coinvolto nove centri specializzati in riabilitazione neurologica: Policlinico G.B Rossi (Verona), Ospedale S. Cuore – Don Calabria (Verona), Clinica Quarenghi (Bergamo), SCRRF Ospedale di Novara, Ospedale S. Camillo (Venezia), IRRCS Fondazione Istituto Neurologico C. Mondino (Pavia), Unità  Operativa di Medicina Fisica e Riabilitazione (Padova), Clinica di Neuroriabilitazione Ospedali Riuniti (Ancona), Villa Beretta Costanaga. I criteri di inclusione dei pazienti nello studio sono stati molto rigidi e selettivi, questo ha portato alla selezione di soltanto 59 pazienti, che sono però stati ritenuti dagli esperti un campione statisticamente altamente attendibile. 59 pazienti scelti in tutta Italia con un tempo medio trascorso dall’ictus che va da 2 a 24 mesi.

Con questo lavoro abbiamo introdotto un evidente elemento di novità . – afferma la dottoressa Simona Farina, dello staff del professor Antonio Fiaschi dell’Università  di Verona – Lo studio multicentrico ha permesso di affermare che l’utilizzo della Constraint Induced Movement Therapy (CIMT) associato al trattamento riabilitativo tradizionale, di 2 ore al giorno per 2 settimane, è sufficiente a garantire il miglioramento del movimento dell’arto paretico in termini di frequenza dell’uso, di qualità  del movimento e di abilità  funzionale. Si è inoltre dimostrato che tale miglioramento non viene ulteriormente incrementato da un maggior numero di ore di trattamento (con 2 ore/die, p<0,05) e che i risultati si mantengono nel tempo. Di grande rilievo è il fatto che questa terapia, che mira ad una riabilitazione completa dell'arto immobilizzato, è in grado di consentire un recupero tale da permettere una maggiore autonomia nelle attività  della vita quotidiana. Proprio in funzione di questo aspetto gli esperti hanno usato una scheda di raccolta dati davvero particolare composta dal cosiddetto Wolf motor function test e dal Motor activity log (Mal).

Due questionari mirati, dal cui incrocio delle risposte scaturiscono i dati essenziali. Per fare rendere l’idea ecco alcune delle domande presenti nel documento fornito ai pazienti:

1. Utilizzare il telecomando.

Se si quanto e come ha utilizzato l’arto affetto ?

Se no: Perchè non ha svolto l’azione o utilizzato l’arto affetto nel svolgerla dall’ultima vista?

Oppure, ancora, per fare riferimento ad un’azione femminile ed una maschile

2. Truccarsi / radersi

Se si quanto e come ha utilizzato l’arto affetto ?

Se no: Perchè non ha svolto l’azione o utilizzato l’arto affetto nel svolgerla dall’ultima vista ?

Il protocollo, la scheda di raccolta dati e la scala di Wolf sono disponibili sul sito della SIRN: www.sirn.net.

I risultati dello studio multicentrico sono in via di pubblicazione sulle rivista europee di neuroriabilitazione.

Segnalazione: Andrea Comaschi – Aristea