Tenere un familiare vicino al malato, fa bene al suo cuore.
Infatti, per gli anziani ricoverati in cura intensiva uno dei rischi maggiori è rappresentato dalle complicazioni cardiovascolari che in alcuni casi portano anche alla morte, ma uno studio ha dimostrato che tali rischi possono essere contenuti con una ‘terapia sociale’.
Lo dimostra scientificamente una ricerca condotta dall’Azienda ospedaliero universitaria fiorentina di Careggi e pubblicato sulla rivista cardiologica statunitense Circulation.
Lo studio fiorentino, diretto da Niccolò Marchionni, ordinario di geriatria alla facoltà di medicina dell’università di Firenze, è il primo che analizza gli effettivi rischi della presenza prolungata dei familiari nelle unità di cura intensiva.
Per due anni sono stati osservati circa 300 pazienti sottoposti a due regimi di visita diversi: lo standard (un solo familiare per 30 minuti due volte al giorno per evitare il rischio di infezioni e di stress per i ricoverati) e quello allargato (visite con durata illimitata).
Il risultato evidenzia che con il regime standard ci sono state complicanze cardiovascolari per il 28,8% dei pazienti, con una mortalità del 5,2%; con il regime allargato le complicazioni sono comparse sul 12,6% dei ricoverati e la mortalità è dell’1,8%.
Il risultato più sorprendente e di maggiore impatto clinico è rappresentato da una riduzione di oltre due volte, altamente significativa, del rischio di tutte le maggiori complicazioni cardiovascolari nel periodo di visita allargata.
La minore attivazione del sistema nervoso associata alla maggiore presenza dei familiari sembra garantire un profilo cardiocircolatorio più favorevole, attraverso una riduzione dello stress e della conseguente liberazione di agenti ormonali potenzialmente nocivi.
«Lo studio – conclude Marchionni – sottolinea quanto i modelli assistenziali ottimali debbano essere fondati sulla attenzione costante alla serena partecipazione del paziente, e dei suoi familiari, al programma di cura, un elemento di particolare importanza nei più anziani».
Articolo tratto da Corriere Canadese